Territorio

Parco Nazionale del Cilento

Il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano comprende un territorio di circa 180.000 ettari (è il secondo parco Nazionale più esteso d’Italia) delimitato a nord dalla piana di Paestum, a est dal Vallo di Diano, a ovest e a sud dal mar Tirreno.
Il Parco iscritto nella lista Unesco del Patrimonio Mondiale dell’Umanità ed elevato a riserva di Biosfera MaB (Man and Biosphere), è considerato “santuario della natura” e “paesaggio vivente” in quanto raro incrocio di civiltà, specie naturali e popoli.
Magnifico risultato dell’opera combinata della natura e dell’uomo, il Parco  si caratterizza per la presenza di  ambienti costieri, montani e vallivi, per la ricchezza straordinaria di vegetazioni, per un elevato grado di diversità biologica della specie e per le eccezionali tracce di storia che dal Paleolitico arrivano fino ad oggi. Coste incontaminate, falesie rocciose, alture dall’aspra bellezza, sentieri, corsi d’acqua, grotte misteriose, accrescono il richiamo di questi territori, luogo ideale per un rigenerante viaggio nella natura alla (ri)scoperta di un patrimonio dall’inestimabile valore. Terra ospitale di innegabile bellezza, ricca di eccezionali testimonianze storiche ed archeologiche, aree verdi e coste affacciate su un mare tra i più puliti d’Italia. Questo è il Cilento, l’area più bella della regione campana, con un litorale in parte ancora selvaggio segnato da spiagge dorate, calette e scogliere; paesi caratteristici annidati tra colline e montagne; affascinanti borghi che profumano di mare e un rigoglioso Parco Nazionale, vero e proprio “santuario della natura” e “paesaggio vivente” protetto dall’Unesco. In questi luoghi la Magna Grecia incontra la dieta mediterranea, i miti antichi si intrecciano a quelli moderni, l’azzurro del cielo si confonde con quello del mare in un susseguirsi di splendide vedute scenografiche. Dai templi di Paestum alle fortezze costiere, dalle rovine di Velia al monastero di San Lorenzo, dal mito di Palinuro ad Hemingway, da Punta Licosa alle Dolomiti del Sud, il Cilento riserva sorprese stupefacenti. Si fa presto a restare affascinati da questo territorio magico, così variegato e allo stesso modo autentico, straordinario luogo di vacanza e relax che ammalia il visitatore come la sirena Leucosia ammaliò Ulisse.


Paestum nel Cilento
L’area archeologica di Paestum è una dei principali siti archeologici del mondo ed è riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’Umanità. La città fu fondata nella Piana del Sele (soprannominata la Piana degli Dei) dai coloni greci agli inizi del VI sec. a.C con il nome di Poseidonia, la città di Nettuno.
In seguito fu occupata dai lucani che la ribattezzarono Paistom, nel 273 a.C. Roma vi fondò la colonia latina di Paestum dotandola di terme, foro e anfiteatro. Nel V sec. d.C Paestum assunse a rango di diocesi per essere successivamente abbandonata a cause delle incursioni saracene e dell’estendersi delle paludi. Completamente caduta nell’oblio bisognerà aspettare fino alla metà del ‘700 per scoprire i suoi resti. La città antica è circondata da circa 5 km di mura, considerate uno dei sistemi di fortificazione meglio conservati della Magna Grecia, su cui si aprono le 4 porte principali di accesso (Porta Aurea, Porta Giustizia, Porta Sirena e Porta Marina).
Al suo interno si distinguono tre aree: due sacre (il santuario settentrionale e quello meridionale) ed una pubblica al centro (prima Agora greca e poi Foro Romano). Nei due santuari si possono ammirare tre splendidi esempi di architettura templare di ordine dorico perfettamente conservati, vale a dire: il tempio di Cerere, dedicato ad Athena, il grandioso tempio di Hera (impropriamente detta basilica), consacrato alla dea della fertilità e, il tempio di Nettuno sacro forse ad Apollo. Nell’area pubblica trovano posto edifici di età greca, come l’ekklesiasterion (edifico assembleare) e l’heroon (edificio consacrato al fondatore della città) e costruzioni romane come, il foro circondato da un  portico di ordine dorico, il tempio della pace, l’anfiteatro in cui avevano luogo i combattimenti tra gladiatori e, i quartieri abitativi. Merita una visita anche il Museo Archeologico in cui sono esposti i numerosi reperti rinvenuti all’interno dell’area, tra cui i famosi dipinti della tomba del Tuffatore, uno dei pochi esemplari superstiti di pittura classica.


Area Archeologia di Velia
Velia, l’antica Elia (dal nome della sorgente locale Hyele), fu un’importante città della Magna Grecia fondata intorno al 540 a.C. da esuli di Focea sulla sommità di un promontorio.
Nel V sec. a. C. la città era nota per i floridi commerci e soprattutto, per la scuola filosofica eleatica fondata da Parmenide e Zenone. In Età Romana, divenuta municipio con il nome di Velia conobbe un periodo di grande sviluppo fino a quando il progressivo insabbiamento dei due porti costruiti dai focei e le catastrofiche alluvioni decretarono la fine della sua potenza economica (IV sec. d. C.). 
Nel Medioevo l’abitato si ritirò sull’acropoli dove venne costruito un castello con torre di avvistamento (ancora visibile). Nel corso del Seicento, la città fu progressivamente abbandonata. L’area archeologica di Velia, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, comprende i tre nuclei in cui si articolava l’antica città, ovvero il quartiere meridionale, il quartiere settentrionale (collegati da una strada terminante con due porte, Porta Marina Sud e Porta Marina Nord) e l’acropoli. All’interno delle mura sono presentialcuni edifici di età ellenistica ed imperiale. 
Risalgono all’età romana le Terme Adrianee, un edificio pubblico formato da un criptoportico a tre bracci, sede forse della scuola medica, palestra o sacello del culto imperiale, la Masseria Cobellis, altro edificio pubblico su due livelli con ninfeo e vasca. All’età ellenistica appartengono invece, un impianto termale risalente al III sec. a. C., l’Agorà costituita da una piazza rettangolare delimitata per tre lati da muri porticati e con il fronte colonnato, il Pozzo Sacro dedicato forse al dio dell’amore, e la famosa Porta Rosa, unico esempio di arco a tutto sesto della Magna Grecia pervenuto in perfetto stato di conservazione che metteva in comunicazione i quartieri settentrionale e meridionale della città. Sull’acropoli, l’area in cui si svolgeva la vita pubblica e religiosa della città, sono conservati i resti di un teatro costruito in età romana sui resti di un altro più antico, un tempio, forse dedicato ad Atena, in parte distrutto dalla grande torre del castello normanno.


Palinuro nel Cilento
Terra di antichi miti e grande bellezza ,Palinuro è un importante centro turistico della costa cilentana. Panorami straordinari, acque incontaminate, distese di spiagge, insenature e grotte marine attraggono estimatori e amanti della natura e del mare.
Ad accrescere il fascino di questi luoghi contribuisce la leggenda secondo la quale Palinuro deve il suo nome al nocchiero di Enea caduto in questo mare e ucciso dagli abitanti del luogo quando raggiunse la terraferma. La caratteristica principale di questa località balneare è il promontorio di capo Palinuro con la sua forma a 5 punte sovrastato dal faro e con le pareti rocciose che cadono a picco nel mare. Numerose sono le grotte che si aprono lungo la costa rocciosa e frastagliata, delle quali la più nota e visitata è la Grotta Azzurra così chiamata in quanto i raggi di sole che filtrano al suo interno creano particolari giochi di luce in virtù dei quali l’acqua diventa di un blu intenso. Altrettanto suggestive sono: la Grotta d’Argento ravvivata dai riflessi argentei che assumono le pareti, la Grotta dei Monaci in cui le stalattiti sembrano monaci in preghiera, la Grotta delle Ossa con le pareti incrostate di ossa umane ed animali del Quaternario. A differenza delle grotte raggiungibili solo in barca, alle spiagge si giunge anche a piedi. Da non perdere, la spiaggia delle dune fossili in località Saline, la spiaggia dell’Arco Naturale e la spiaggia della Marinella.
E’ Cala Bianca di Camerota, nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, in provincia di Salerno, la spiaggia ‘regina dell’estate’ 2013, almeno secondo il parere delle migliaia di internauti che l’hanno votata via web per ‘La più bella sei tu’, il sondaggio di Legambiente lanciato per eleggere la spiaggia più bella di questa estate. Menzione speciale per la Spiaggia dei Conigli di Lampedusa (Agrigento) ma ci sono anche altre 15 spiagge memorabili in Puglia, Toscana, Sardegna, Sicilia, Calabria, Liguria, Lazio e Marche per paesaggi indimenticabili, ecosistemi incontaminati e scrigni di biodiversità sul Mediterraneo.
Per il popolo di internet affezionato al Cigno verde, la piccola spiaggia di sabbia bianca circondata dalla vegetazione selvaggia, incastonata nella costa cilentana, è la regina indiscussa definita ‘unica e inimitabile ‘, ‘un paradiso terrestre ‘, ‘una spiaggia dove si può ritrovare la calma e la pace ‘, ‘uno dei posti più belli dove poter fare il bagno nel Cilento’.
Il sondaggio di Legambiente ha indicato altre 16 perle balneari oltre alla più votata Cala Bianca e a una menzione speciale per la splendida spiaggia dei Conigli nella Riserva naturale dell’isola di Lampedusa. Ma l’associazione ambientalista ha deciso di non stilare una classifica perché ognuna delle spiagge scelte meriterebbe comunque un primo posto.


La Certosa di Padula nel Cilento
La Certosa di San Lorenzo a Padula è il maggior monumento monastico dell’Italia meridionale, dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.
I lavori per la sua costruzione ebbero inizio nel 1306 per volere di Tommaso Sanseverino e si protrassero fino alla fine del XVIII sec.
L’epoca felice della cittadella conventuale si concluse con l’arrivo di Napoleone che ordinò la soppressione dell’Ordine Certosino. Abbandonata dai monaci, la Certosa fu depredata di tutti i suoi tesori (1810-13). Dopo esser tornati per un breve periodo, i religiosi lasciarono definitivamente il complesso nel 1866. Dimenticata per anni ed anni, nel 1960 cominciarono le opere di restauro e recupero che hanno riportato questa splendida struttura agli splendori che meritava. Il complesso occupa una superficie di oltre 50 mila metri quadrati. La pianta, che è a forma di graticola per ricordare il martirio di San Lorenzo, segue lo schema di ogni altro monastero certosino, distinto in due grandi aree: la “casa bassa”, ovvero i luoghi di lavoro dove conversi e laici svolgevano le attività utili alla comunità (granai, stalle, depositi), e la “casa alta”, comprendente gli spazi comuni, vicini alla chiesa, (cucina, refettorio, sala del capitolo e del tesoro) e la zona di stretta clausura organizzata intorno al chiostro (celle dei monaci, appartamento del priore, biblioteca, giardini). Di grande bellezza la chiesa con i due cori (uno per i conversi, l’altro per i padri) e l’altare maggiore con intarsi in madreperla, singolare la cucina con la grande cappa della fornace centrale, meraviglioso il chiostro grande che con i suoi quasi 15 mila metri quadrati di superficie risulta essere tra i maggiori d’Europa. Una scenografica scala ellittica a doppia rampa collega i due livelli su cui si sviluppa il chiostro, ovvero il portico (in basso) con le celle dei padri, e la galleria finestrata utilizzata dai monaci per la passeggiata settimanale (in alto).

 

La Valle delle Orchidee
Forse, il percorso naturalistico più particolare di tutto il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano.
Le sue 184 varietà di orchidea spontanea fioriscono a maggio, che è quindi il mese più consigliato per una visita.
Tuttavia questo percorso, che da Sassano attraversa fantastici boschi e altipiani abitati da tanti animali allo stato brado e arriva a quota 1200, è talmente bello da valere un giro 365 giorni l’anno.

 

Le Grotte dell’Angelo a Pertosa
Indimenticabili, sono i 1200 metri di percorso attraverso le viscere carsiche degli Alburni, resi ancora più suggestivi da una sapiente illuminazione e dalla presenza del fiume Negro.
Fantastico visitare questo ambiente preistorico vecchio 35 milioni di anni in occasione di una delle performance de L’Inferno di Dante Alle Grotte di Pertosa: farete un vero viaggio nell’universo della Divina Commedia!

 

Baia degli Infreschi
Baia degli Infreschi è un’incantevole Area Marina Protetta con una bianca spiaggia sabbiosa sormontata da possenti rocce in quel di Camerota.
Amate il trekking? Allora raggiungetela via terra seguendo un percorso impegnativo sì, ma che vi ripagherà con viste mozzafiato. Amate forse la barca? L’escursione via mare da Camerota o Palinuro vi aspetta per sorprendervi. In entrambi i casi, non dimenticate maschera e boccaglio!

 

L’OASI WWF delle Gole del Calore
Il comune di Morigerati, piccolo centro situato nella provincia di Salerno, detiene l’unica bandiera arancione dell’intero territorio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
Questo luogo racchiude in pochi chilometri quadrati l’essenza stessa della nostra terra: borghi minuscoli dal fascino antico e natura selvaggia e incontaminata.

 Delle Gole del Calore vi abbiamo già parlato dettagliatamente poco tempo fa.
Qui vi ricordo solo che si tratta di uno dei luoghi più incredibili del Cilento.
Che siate una famiglia, una coppia, un gruppo o un viaggiatore solitario, che amiate le passeggiate tranquille, il trekking, la bici o la canoa, non potrete sfuggire al suo richiamo.

 

Borgo Medioevale di Teggiano
Da secoli Teggiano è nota per la bellezza delle sue 13 chiese. Grazie ai Principi Sanseverino che vollero abbellirla di luoghi di culto e monumenti, alla storica presenza di un seminario vescovile e al successivo innalzamento a sede diocesana, Teggiano è riuscita nei secoli ad affermarsi come culla della spiritualità e del sentimento religioso dell’ intero Vallo di Diano.
Teggiano è , un vero e proprio gioiello rimasto intatto: i vicoli medievali si aprono su piazze dove il tempo sembra essersi fermato e le lanterne, che oscillano sospese tra i vicoli dell’antico borgo, illuminano una passeggiata suggestiva che regala al visitatore un paesaggio non diverso da quello impresso in dipinto.
Dalla terrazza accanto al Castello, in pieno centro storico, si gode di una magnifica vista sulla Valle . Vari i musei che si possono visitare come quello di San Cono, delle Erbe, delle Tradizioni e quello Diocesano.

 


Santuario di S. Antonio in Polla
Il Santuario francescano di sant’Antonio, iniziato a costruire nel 1541 su progetto di ignoti architetti, rappresenta uno dei monumenti più significativi dell’arte francescana in una sintesi ineguagliabile di storia e spiritualità.
Edificato a spese della popolazione e della municipalità, esso ha continuato ad essere nel corso dei cinque secoli dalla sua fondazione, luogo di riferimento della storia religiosa e culturale.
Fin dall’inizio, la storia di questo luogo francescano si è intrecciata in profondità con la storia stessa di Polla.
Con la sua sobria architettura di impianto rinascimentale, i suoi stupendi affreschi, le preziose tele, le tante sculture lignee, il Santuario rappresenta una delle pagine più interessanti della storia dell’arte barocca in Campania. Al suo interno contiene opere di Michele Ragolia, Domenico Sorrentino, Anselmo Palmieri, Francesco de Martino, Nicola Peccheneda, Pietro Antonio Ferro, fra Umile da Petralia e vari altri artisti.
Le vicissitudini storiche che hanno accompagnato il Santuario fino ai nostri giorni, hanno sempre lasciato un’impronta precisa tanto negli interventi architettonici degli ambienti conventuali (tra le cause vanno ricordati soprattutto i terremoti del 1694 e del 1857), quanto nelle testimonianze artistiche che ci tramandano la sensibilità culturale, nel corso dei secoli, di un grande progetto con i suoi artefici, le sue risorse, i suoi obiettivi e le sue difficoltà. È stato dichiarato Monumento Nazionale nel 1925 ed eretto Santuario Diocesano nel 1993. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali lo ha inserito, nel 2012, tra le “Mille meraviglie d’Italia”.

 

San Giovanni a Piro
CENOBIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA
A San Giovanni a Piro, alle falde del Monte Bulgheria, sorge il complesso bizantino di San Giovanni Battista. A differenza dei numerosi altri che caratterizzarono il Cilento, ormai ridotti a ruderi, quest’ultimo conserva una propria integrità strutturale e l’imponenza architettonica della Chiesa e della Torre merlata alta circa 15 metri e costruita a scopo di difesa e di avvistamento sul mare.
La fondazione del Cenobio risale all’anno 990, ad opera di monaci bizantini provenienti dall’Epiro. Questi ultimi diventarono dei veri e propri baroni della zona con la più ampia autonomia giurisdizionale, sia nel campo spirituale che in quello temporale, che si estendeva da Camerota fino a S. Nicola di Grisolia in provincia di Cosenza.
Durante il periodo di massimo splendore del monachesimo bizantino nel Cilento e nel Vallo di Diano, il Cenobio di San Giovanni Battista fu uno dei più fiorenti, per ricchezza patrimoniale e culturale. Ad esso fecero capo importanti personalità culturali del tempo, fra le quali il cardinale Bessarione e l’umanista Teodoro Gaza.
Al Cenobio apparteneva la celebre stauroteca di scuola bizantina, oggi nel Duomo di Gaeta, cui fu donata nel lontano 1534 dal Cardinale Tommaso De Vio. Si tratta di una piccola croce pettorale in oro, decorata su entrambe le facce con smalti policromi. Come tante altre croci orientali, ha i bracci verticali alquanto più lunghi di quelli orizzontali ed il braccio inferiore più lungo di quello superiore. Sul lato anteriore appare l’immagine di Gesù Crocifisso, mentre su quello posteriore, al centro della croce, in posizione dominante, vi è la figura della Vergine in piedi, che tende le mani in avanti tenendo i gomiti stretti al corpo, in un gesto poco comune di preghiera. La circondano quattro busti di Santi, ognuno con il proprio nome siglato.
L’apertura avviene su prenotazione nel periodo invernale, mentre dal 15 giungo al 15 settembre è aperto tutti i giorni dalle 16.30 alle 19.30.Per ulteriori info: www.comunedisangiovanniapiro.it – 0974.983007

 

SANTUARIO MARIA SS. DI PIETRASANTA
Originariamente piccola cappella rupestre eretta intorno al 1200 dai monaci italo-greci, che ne curavano il culto e l’amministrazione.
La statua della Madonna, da loro scolpita nella monolitica pietra del Monte Picotta, rimanda proprio alle caratteristiche classiche dell’iconografia bizantina: il Bambino in piedi sulle ginocchia della Madre, che alza la mano destra nel segno di benedizione, e lo sguardo della Madonna rivolto all’infinito.
Divenuto oggi un più grande complesso religioso, è meta abituale di numerosi fedeli.

 



SENTIERI

Sentiero del Marcellino – A picco sul mare 
Dal panoramico Pianoro di Ciolandrea (519 metri s.l.m.), a strapiombo sul mare, parte il sentiero che conduce sulla spiaggia del Marcellino o dei Francesi.
La discesa, inizialmente in lieve pendenza e su di una agevole strada sterrata, diventa gradualmente più impervia, per cui si consiglia la più cauta attenzione. Immerso tra ginestre, mirti e corbezzoli, si affaccia su imponenti torri costiere e suggestive calette.
Lasciando alle spalle il massiccio calcareo-dolomitico del Bulgheria (1.225 metri), l’orizzonte si apre tra il Golfo di Policastro, la costa calabro-lucana e, nelle giornate nitide, le isole Eolie.
Sentiero del Ceraseto – Sulle orme dei monaci bizantini
Poco dopo la bianca chiesetta cimiteriale che si erge alle spalle del Cenobio, un sentiero agevolmente percorribile conduce alla Grotta del Ceraseto. Dopo circa mezz’ora di cammino si giunge ai piedi della Grotta, scavata in un costone roccioso del Monte Bulgheria (1.225 m) e di cui sono visibili i ruderi di possenti mura difensive erette dai monaci bizantini.
Sentiero della Manna – La via della fede
Dalla Cappella della Martellata un antico tratturo conduce al Santuario di Maria S.S. di Pietrasanta. Il sentiero si insinua in una fitta vegetazione mediterranea, tra pini e ginestre; conduce ad una fonte di acqua ritenuta miracolosa (cosiddetta “della Manna”), per poi sboccare sul piazzale del Santuario.
Sentiero degli Eremiti – Verso la vetta del Bulgheria
La risalita verso la vetta del Monte Bulgheria (1.225 m. slm) inizia laddove è situato il campo sportivo. Tra una rada vegetazione a macchia, in cui spiccano ricoveri pastorali, il sentiero si inerpica ripidamente verso la cima montuosa. Da lassù si apre un’ampia veduta panoramica sull’intera costa calabro-lucana e tra il Golfo di Policastro e Palinuro

 

Roccagloriosa
Gia’ a partire dal  VI-V° secolo A.C. questo piccolo paese puo’ vantare una presenza sul territorio,con un popolo, i Lucani,che raggiunse il suo massimo sviluppo intorno al III° secolo A.C. cosi’ come testimoniano i numerosi reperti archeologici ritrovati.Il primo centro abitato dell’attuale Roccagloriosa nacque sulla rupe del Monte S.Giacomo,oggi conosciuta dai piu’ come “le Chiaie”,una collina situata a valle dell’attuale centro abitato,dove oggi vi e’ localizzato il sito cimiteriale. Questo primo centro abitato venne distrutto dai Crotonesi , cosi testimonia una lapide del 1842.
I profughi,dopo questa distruzione operata dai Crotonesi,migrarono piu’ ad est,verso un falso piano da cui era possibile osservare tutto il golfo di Policastro denominato i “Capitenali”,qui si sviluppo’ l’abitato di “Orbitania” che conobbe il suo maggior splendore e sviluppo durante il periodo lucano. In seguito,datosi un malcontento di numerosi centri abitati verso il malgoverno romano,ebbero luogo numerose ribellioni con conseguenti atti punitivi da parte del governo romano che non evitarono Orbitania,che subi una quasi sopraffazione. Di nuovo i superstiti si spostarono ad ovest verso una rupe chiamata “Armo” e qui fondarono “Patrizia” centro  localizzato con l’attuale rione di Rocchetta. Il nome Patrizia derivo’ dalla presenza sul territorio del governatore patrizio romano mandato da Roma per controllare e mantenere il popolo fedele all’impero ed al suo dominio. Ma le sorti di Patrizia vennero scritte dal generale Stilicone che di ritorno dalla Grecia,dopo che vi aveva inseguito i Goti , sbarco’ nel golfo di Policastro depredando i centri abitati tra cui la stessa Patrizia, lasciandola spoglia e impoverita di ogni sorta di bene. Alcuni soldati del generale Stilicone , che avevano militato prima negli eserciti di Teodosio e poi nelle fila di Onorio , entrambi imperatori romani di religione cristiana, seguendo questa religione edificarono poco lontano da Patrizia su di un altro colle, una chiesetta dedicata al culto della “Gloriosa madre di Dio Benedetto, ed attorno ad essa costrui’ un piccolo centro abitato. Negli anni che seguirono nuove guerre e distruzioni si susseguirono flagellando queste terre e le loro genti. Dopo la sconfitta dei Goti ad opera dei generali greci Narsete e  Belisario,  avvenuta nell’anno 533,molti soldati bulgari decisero di non fare ritorno presso le loro sedi , ma si stabilirono nelle vallate. Da questi insediamenti il primo nucleo abitato a nascere fu’ “Acquavena”, attuale frazione del paese, e poi si sviluppo’ “Celle”, attualmente “Celle di Bulgheria” un comune limitrofo, ma il gruppo piu’ numeroso di questi venne a stabilirsi a Patrizia. Qui, intorno al castello che nel frattempo era stato edificato, costruirono le loro case che per difenderle poi circondarono con mura difensife dando così i natali a “Rocca”, ed il Termine “Gloriosa” che derivo’ dal culto religioso praticato nella chiesetta sovrastante il centro abitativo. Durante l’  VIII° e  IX°  secolo gli abitati furono oggetto  di numerose e violente scorrerie da parte dei Saraceni. Solo quando nel   secolo queste cessarono del tutto inizio il periodo storico noto come “Monachesimo”,con un florido periodo in cui i monaci poterono stabilirsi in particolar modo nella zona del “Mercurion”,situato tra Puglia e Basilicata. In questo tempo , fuori dalle mura di Roccagloriosa , viene eretto il monastero benedettino di “S. Mercurio”, che nel XII° secolo viene destinato ad accogliere le monache cistercensi. Notizie storiche certe del borgo di Roccagloriosa si hanno a partire dal XIII°  secolo quandoRuggero D’Apolla prima e Matteo Mansella poi vengono nominati “castellani”. In seguito il piccolo feudo passo sotto i “Sanseverino”,poi ai “Carafa” nel XVI° secolo , a i “Capece” ed infine a i “D’Afflitto”, famiglie nobiliari e aristocratiche il cui dominio e ancora oggi testimoniato dai numerosi palazzi nobiliari di cui e’ costellato il borgo.

 

L’ANTICO BORGO DI SAN SEVERINO DI CENTOLA
Nel territorio del Lambro e del Mingardo, nel basso Cilento, troviamo in posizione dominante su di un colle roccioso San Severino di Centola.
Un antico borgo di origine medioevale definitivamente abbandonato nel secolo scorso e oggi oggetto di salvaguardia e promozione da parte della cittadinanza attiva del posto che a tal fine ha costituito l’associazione “Il Borgo”.
Il fascino delle rovine del borgo è impareggiabile.
L’antico insediamento situato su un colle che affaccia sulla valle del Mingardo risulta diviso in due parti dalla forma sellare della cima.
Da una parte, infatti, troviamo la zona del castello e della chiesa,a e dall’altra, la zona delle abitazioni civili.
Nel periodo estivo e non solo, sono diverse le manifestazioni e i momenti di aggregazione organizzati dall’associazione e finalizzati alla valorizzazione del luogo.
Da segnalare la rinomata sagra del prosciutto paesano che si svolge nel periodo di agosto nella piazza antistante la Chiesa di Santa Maria degli Angeli di San Severino di Centola e il presepe vivente del periodo natalizio.

 

Santuario della Madonna del Monte Gelbison
Il santuario della “Madonna di Novi Velia”, è posto sulla cima del Monte Gelbison , a 1705 s.l.m. E’ il santuario più alto d’Italia e sulle sue origini, che risalgono al 1323, si narra la leggenda secondo cui ogni volta che i lavori del tempio si interrompevano per qualche giorno, alla ripresa si trovavano distrutte le opere prima costruite. Finché una notte, agli operai, che erano saliti sul monte per cercare un agnello smarrito apparve la Vergine e disse che desiderava che la cappella fosse dedicata agli Angeli.I pellegrini, ogni anno, in estate, si recano in processione al santuario, portando un Gesù Bambino di cera. i pellegrinaggi arrivano da tutto il Sud Italia.Il Santuario mariano, e in particolare l’edificio che ospita il monastero, stupisce per la sua mole e per la collocazione, proprio nel punto più alto del Gelbison.
Dal piazzale la vista abbraccia quasi tutto il Cilento, con i Monti Alburni da un lato e il blu del Tirreno dall’altro. Più lontano, verso sud, il massiccio del Pollino. Oltre il profilo della costiera amalfitana e del promontorio di Palinuro si scorgono le sagome di Ischia e Capri.E’ uno straordinario punto panoramico: dalla sua vetta si godono ampie vedute sulle valli ed i monti circostanti. Il nome del monte pervaso del culto alla divinità materna non evidenzia le molte valenze ambientali e naturalistiche. Gli estesi boschi che ricoprono completamente le pendici ospitano animali rari e preziosi come il lupo, la martora e il picchio nero.
Il pellegrinaggio
Per i Cilentani il Gelbison è semplicemente “il Monte Sacro”, che attira annualmente migliaia di fedeli che lassù confluiscono non solo dalla regione campana ma anche dalla Basilicata, dalla Puglia e dalla Calabria per deporre ai piedi di Maria le loro pene e chiedere le sue grazie celesti.
La “Madonna del Monte”, come viene chiamata dai Cilentani, la cui venerazione risale al 1300, è una statua lignea, in origine rozzamente scolpita e restaurata in epoca moderna.
La Vergine è rappresentata seduta, col Bambino sul braccio sinistro e con la destra atteggiata a distribuire i suoi favori divini.
Il viso bruno, allungato, gli occhi alla greca, tutta la figura slanciata, ci riportano all’iconografia bizantina e alla colonizzazione “basiliana” del primo millennio della nostra era, cioè dei monaci italo-greci, seguaci dei precetti di San Basilio, fondati sulla preghiera, la meditazione e lo studio delle Sacre Scritture.Essi, fuggiti da Bisanzio e dalla penisola balcanica, in seguito alle invasioni degli Avari e degli Slavi e alle lotte iconoclaste del 726, si rifugiarono nell’Italia Meridionale e, risalendo, trovarono nel Cilento, a quei tempi aspro e selvaggio, con i suoi boschi fittissimi e le mille grotte e anfratti, il luogo ideale per l’isolamento necessario alla loro vita eremitica e cenobitica.
I fondatori del santuario, che in origine era solo un piccolo tempio, sicuramente vissero, all’inizio, in grotte naturali o intorno alla grotta nella quale avevano sistemato l’Immagine della Madonna, alla quale è legata una leggenda, riferita dal monaco celestino Bernardo Conti nel suo libro: “Storia e miracoli della Beata Vergine del Monte Sacro di Novi”
Alcuni pastori di Novi Velia, volendo edificare per loro comodità un piccolo tempio dedicato alla Madonna, alle falde del monte, ed essendo riusciti vani tutti i loro tentativi poiché al mattino si trovava disfatto il lavoro del giorno innanzi, deliberarono di vegliare di notte per scoprire gli autori e portarono con loro un agnello per cibarsene. Ma, sul punto di essere ucciso, l’agnellino sfuggì loro dalle mani e, saltando di balza in balza, arrivò sulla vetta, arrestandosi tutto tremante davanti ad un muro che ostruiva una piccola grotta. In essa era l’Effige della Madonna. Attoniti, i pastori ridiscesero a raccontare l’accaduto ai compaesani e al vescovo di Capaccio, poiché allora non c’era ancora il vescovado a Vallo. Il vescovo si recò sul luogo per constatare con i propri occhi ma, al momento di benedire la grotta, risuonò una voce dall’alto: “Questo luogo è santo ed è stato consacrato dagli Angeli”.
Questa la leggenda che, per altro, è comune a molti santuari. Il primo documento storico che parla di una “rupis Sanctae Mariae” nel feudo di Rofrano (l’altro versante del monte) risale al 1131 e si trova in un Diploma dato da Ruggero II, il Normanno, all’abate Leonzio di S.Maria Grottaferrata. Il citato monaco celestino narra che il tempio, ampliato e divenuto santuario, fu posseduto per alcuni anni dal vescovo di Capaccio ma nel 1323 Riccardo di Marzano, Maresciallo del Regno di Sicilia, duca di Sessa, conte di Squillace, barone di Novi, principe di Rossano, lo comprò per darlo in uso ai monaci celestini di Novi, per i quali aveva mutato in convento il suo castello.
L’Ordine dei Celestini, fondato, nel 1264 da Pietro Angelerio, chiamato Pietro del Morrone, (dal monte, vicino ad Isernia, sul quale egli visse da eremita per parecchi anni), divenuto papa col nome di Celestino V, era una congregazione di eremiti i quali, per il loro tenore di vita austero, solitario e contemplativo, erano i più adatti per un santuario posto in cima a un monte alto 1700 metri.
Allorché l’Ordine dei Celestini decadde e si estinse del tutto nel sec. XVIII, il santuario ritornò al vescovo di Capaccio.
Ad ogni santuario è legato il pellegrinaggio, come forma di devozione, insita in tutti i popoli e in tutte le religioni.
Nell’antichità poteva trattarsi di una selva, di un fiume, di una roccia, di un albero, di un monte sacro o di una divinità taumaturgica.

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